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Si chiamano mattine da urlo.
L’abisso infinito precipita dentro
non vogliamo guardare,
ad occhi serrati si deglutisce
con l’intera spina di pesce
di traverso
speranze scarnificate appuntite
asperità che non sperano in noi che dolori minori
non c’è mollica per certe mattine
l’acqua diluirebbe solo
il sangue.
Non ti scandalizzare al dolore
è solo che non sai aiutare
tremi della tua impotenza
non è per me che temi
sgomento in quanto scuoto
come il vento
con un urlo sradico normalità imposte
lascio desolazione, documentabile.
Non puoi cambiar canale
quando mi hai davanti.
Il tuo silenzio è
il coltello che mi fruga la gola,
che cerca di estrarsi
di giustificarsi.
Gira continuamente su se stesso
annoiato dilaga e allarga.
Sospiro quasi l’ultimo.
Silenzio.
Tu assente.
Tu mi metti in pausa un paio di giorni.
Non spieghi.
Immagino e non riesco
a coagulare emorragie disperate.
Si chiama poesia la spina di traverso
o meglio interruttore
per l’accesso a stanze buie.
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