Tag Archives: inquadratura

Scadenze, Settembre 2011

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Il sole recupera gli odori
Il sapone il pulito
Il vento agita il bucato
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Sotto i nostri occhi i colori
Ultimo fotogramma
I passi nell’estate
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Quasi ad altezza cielo.

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Chi si costruisce un’identità
omologandosi cittadino
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chi si lima sempre più
a fondo
per esser straniero
ovunque
– mai turista
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senza sosta
senza pausa le doglie
lente
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l’empatia è un’aderenza
come un cerotto mi appoggio
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Scadenze, Settembre 2011

Scadenze, Novembre 2011

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Ne tolgo una manciata che non comprendo
ne perdo fiotti e non trattengo
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stringo il nulla quando manchi
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un maglione vuoto la mia pelle
senza te inutile al freddo.

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Vorrei alzarne una
per avvicinarti quando scrivo
il silenzio che si allarga
respiro chiaro steso
riposo qui
dove si allungano le ossa.

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Scavano forse queste intenzioni
smuovendo terra dura
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e cuori, attrezzo antico
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cadono piccole parole
spezzate dagli angoli della mia vita
cercano calore per nido
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come avrei voluto esserti.

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Un maglione vuoto inutile al freddo

Ottantanove piani

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Ottantanove piani non fanno un concerto,
ma una tragedia silenziosa.
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In tre salgono controsenso verso
una manciata di condannati, la porta bloccata. Un buco
un pugno passa il muro, due visi
appoggiati a una parete
si ascoltano respirare. L’ultimo del piano
racconta, l’incendio infuria contro il cielo, e loro
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trecento metri per raggiungere terra, duemila scalini
lenti e calmi contro il terrore. Quanti pensieri
silenziosi, prepotenti tra un passo e l’altro, lacrime implose,
fuori cenere, brandelli e corpi
varcavano l’aria, scomposti tetri fuochi d’artificio,
causa del silenzio più abbagliante. Il terrore,
mi hanno raccontato, è bianco.
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Twin Towers

“Seduta finché in piedi.”

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“Seduta finché in piedi.”

Concludo così la conversazione con il controllore del treno 1535 diretto da Milano Centrale a Imperia Porto Maurizio. Tempo di percorrenza previsto ore 4.10. Sabato 3 Settembre, ore 9.10. Ridiamo, la frase ha un che di assurdo, di sconclusionato, ma le condizioni di viaggio non sono da meno.
In questo momento sono anche l’unica ad avere una piccola fonte di luce, lo schermo del mio computer. Dentro le gallerie si piomba nel buio totale, cadono i giornali e i libri dalle mani dei viaggiatori sorpresi, delusi e si rompe il silenzio. Borbottano, si lamentano sottovoce, mi chiedo perché, piuttosto, non intoniamo un canto rivoluzionario ad alta voce. Prigionieri di un sistema che serve vittime, che pagano per servizi non offerti, per essere sviliti. Lo so la mia faccia al buio con questa lucina blu avrà un che di spettrale mentre gli altri cinque passeggeri nello scompartimento mi guarderanno con invidia. Con i loro occhi, puntati su di me, nel buio, parlo anche in loro vece. Questa galleria sembra infinita.
Succede che il primo sabato del mese di settembre Trenitalia proponga un treno con una sola carrozza di prima classe, rispetto alle solite due. Non che viaggiare in prima sia una scelta snob. Le altre carrozze sono tutte piene quindi resta solo la possibilità di comprare il biglietto in prima. Con un’esplicita dicitura al posto dei numeri posto e carrozza: Posto a sedere non garantito. Ossia paghi un biglietto di prima classe e stai in piedi in un corridoio che non ha neppure quei piccoli sedili a ribalta. Credo non ci resti che ringraziarli che i bagni non siano ancora a gettone. Un paio di giorni fa ho dovuto percorrere quattro vagoni per accedere a un bagno funzionante, per assistere al meraviglioso fenomeno da museo della scienza e della fisica, dell’acqua di scarico che saliva verso l’alto piuttosto che scendere verso il basso. Il che non solo mi ha donato una nuova esperienza e soggetto di conversazione da aperitivo con amici dallo stomaco forte ma mi ha anche chiarito le idee sul perché le persone che tornavano dal bagno quel giorno avevano sempre uno strano odore. Mi ero chiesta: Ma cosa fanno questi nei bagni, ci cadono dentro? No, é lo scarico che sale a loro. Un‘esperienza sbalorditiva, unica.
Conclusa questa parentesi, visto che non ho nessuna intenzione di attraversare, al buio, un corridoio stipato di valige e persone già stanche, per visitare i bagni del 1535 del 3 settembre, torno allo stupore mattutino. Di quando, in anticipo di un’ora, ho percorso la banchina su e giù per capire il numero discontinuo delle carrozze. Dopo la prima carrozza sulla quale compariva un numero stampato su carta: 1, si passava a vagoni di seconda ma che cominciavano con il 4, per poi passare al 2 poi al 3 ed infine al 5. Non solo mi era toccato pagare 8 euro in più, dovevo continuare a districarmi tra numeri a sorpresa. Finché il bigliettaio che si aggirava tra i vagoni per raggiungere la carrozza 8, in testa al treno (ma la più lontana di tutte) eremo sicuro dalle ire dei passeggeri, specifica che: se sul biglietto appare la data e l’orario non serve la vidimazione alle macchinette frequentemente lampeggianti e senza inchiostro. Lo taggo e chiedo conferma. Delucidazioni sui biglietti emessi oggi: Fintanto che non arriva chi ha prenotato io resto seduta qui finché non sarò costretta a stare in piedi? Sì, e ride, finché può. Trenitalia, sorgente di filosofia profonda.
Intanto nel corridoio buio si aggira una cinese con una provvidenziale torcia determinata a raggiungere uno dei bagni a sorpresa.

Imputami il peccato di voler sopravvivere — 12/2010

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Il tuo desiderio scivola
creando itinerari
d’acqua
in me.
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Cerco impronte
sulla mia carne
cedevole,
inutilmente.
Lascio perdere
e mi spettino
per uscire..

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Mi immergo
dentro te
per evadere.
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Mischio alla polvere la luce
che si libra consistente.
Vago, io stremata e senza luogo per dormire,
attendo, inutile,
dissuasa.
Nessuna intromissione.
La mia notte non si sporge oltre
il giorno tarda.
Nel frattempo
mi stempero.
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Neghiamo di
navigare il mare delle possibilità
vorremmo occhi
persi oltre l’orizzonte
senza allontanarci dal porto
vorremmo sogni
senza risvegli
notti senza fine a coprire i nostri desideri
vorremmo l’isola
senza intromissioni
senza.

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Isola, isola-ta, isola-mi, io-sola.

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Imputami il peccato di voler sopravvivere — 10/2010

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Ancora li indosso
per sentirti addosso
per esserti dentro
per mantenere lo sguardo
lungo esitante
innamorato che cadeva
lento e non finiva
miele che non lascia il cucchiaio.

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Ci ascoltavamo senza parlare.
La lentezza dello sguardo
dava alla nostra storia un ritmo
lento,
diluito.
Conoscevamo orizzonti
fuori dall’inquadratura.
Mettevamo a fuoco ogni cosa
e forse,
lì,
ci siamo spaventati.

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Una riga,
dentro una volta c’eravamo noi.
Ceneri
negli angoli di una stanza buia.
La notte
attendo che mi si racconti l’amore.

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