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Amarsi, racconto di una conversazione interiore, 2012

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-Amarsi-

Racconto di una conversazione interiore

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“Ruggine e ossa”, vedo questo film e si ferma tutto; il fiume di lava che scorre brucia, consumando il terreno e si solidifica. Scossa e pietrificata nello stesso tempo. I pensieri, veloci, si rincorrono per divorarsi uno con l’altro. Non guardo il cellulare non voglio sapere se ha chiamato, se ha scritto, se mi aspetta, cosa ha da dirmi, se ha da dirmi qualcosa oggi.

La vita è sfida e, a volte, la nostra lotta dura troppo a lungo per capire che abbiamo riguadagnato il nostro posto e la nostra dignità anche senza le gambe di prima. Troppo a lungo per capire che non ci si accomuna con i deboli perché ci si sente deboli, perché gli stessi ci porteranno a fondo nelle loro paludi di chiacchiericci e vanità.

Gente che non sa cosa vuol dire ricominciare, che non sa cosa vuol dire riprendersi la vita, dopo aver perso il controllo del proprio corpo.

Che non sa rimettersi in piedi, che parla, parla, parla e, al posto tuo, si nasconderebbe dalla vergogna. Che, codardi, prima o poi ti infilzano con un’occhiataccia, con una battuta, con un dito, perché sono in imbarazzo puro, che loro sono solo contabili o commesse delle file più grette. Sedentari che non rischiano mai, che non sanno essere diretti e sicuri delle loro prese di posizione, gente che, senza gambe, ammuffirebbe in un angolo.
Perché mi dico, con quello che ho passato e superato, io devo difendermi. E difendere quello che ho riconquistato, quello che sono diventata. Perché poi si diventa più forti, perché bisognerebbe non sentirsi menomati, e saperlo.

Dover scegliere, non essere scelti.

Ecco, ricordo tempo fa d’essere stata portata in mare, in braccio, da un innamorato tanto stavo male, che mi teneva per mano in acqua, àncora alle mie vertigini, quando avevo circumnavigato il mondo in solitario un paio d’anni prima. Di esser stata derisa da ragazzette che ci avevano avvistato, da altri abbandonata e tradita ferocemente,  e di non essermi fatta un tatuaggio su tutto il corpo. Quelli veri di tatuaggi, non quelli alla moda piccolini, ma uno di quelli che allontanino tutti i parrocchiani. Perché dico, il tatuaggio ce l’ho proprio sotto la pelle e, quando mi spoglio, e lo vedono, loro sanno di non essere alla pari; perché il pelo biondo e l’occhio grande non sembrino favoletta rosa. Tanta la grinta, tanti i successi precedenti, poi per un lungo periodo così debole, a lungo sdraiata credendo di non avere più le gambe.

Lui cammina su una gamba sola con determinazione e forza e non si ferma, non si ferma, non si ferma. Io non posso fermarmi, non posso arrotolarmi in un angolo, come un piccolo verme, e piangere perché non si tratta di ingiustizia ma di opportunità. Perché il diavolo non vende droga e tatuaggi, il diavolo ti indebolisce da dentro e ti circonda di superficialità, di teli sintetici, di ragnatele mortali e di persone che amano accarezzare la plastica. La farfalla però esce da un bozzolo da seta, non da una pozzanghera di petrolio. Fa fatica. Finalmente orgogliosa mi dico, sto uscendone e voglio essere più forte di prima, chiudere il cerchio, non farmi calpestare, non pensare troppo, non chiacchierare troppo e neppure perdermi in nuvole strane, vagando, spersa. Voglio essere io, con la mia forza centuplicata, con la dolcezza di fondo che scaturisce solo dalle prove. E che io possa dire, adesso, ad alta voce:

Ci sono stata, ci sono passata, e non cambio rotta, non cerco scorciatoie. Mi farò rispettare.

Camminerò, proprio con questo corpo che mi aveva abbandonato, con la mia determinazione spezzata e che ora ricresce nuova, su ossa d’acciaio, su un percorso di vita piena. Ecco finalmente un racconto d’azione, una storia anti-eutanasia, un amore. E’ stato come un tuffo profondo per me, ora risalgo piano. Ecco cosa è la luce, il fiato di vita, viene da dentro noi e pure viene dall’alto, dalla grazia e non dalla codardia. Così io divento un’epistola, mi racconto, nel mio piccolo, come Hawaii, come il bucaniere. Lui è un pirata perfetto – inaffidabile. Ma se l’ho incontrato ci sarà un perché. Lui mi porta in giro per la sua città orgoglioso, tirandosi dietro un arto quasi morto. Non si preoccupa degli sguardi altrui né delle nostre differenze. Si siede e mi si tiene contro. Lui, io, il cane, stiamo tutti stretti. Io neppure mi sono accorta delle stampelle sul sedile posteriore. Non le usa quando è con me. Lui non si ferma. Io, ogni tanto, mi inceppo. Ecco, capire che si deve tener duro, che si può essere importanti anche senza essere infallibili e contribuire al benessere degli altri, che ci si adatta a tutto e che ci si rafforza. Che ci vuole elasticità, che ci vuole movimento, spontaneità, vulnerabilità e che servono anche dei sorrisi, mentre si naviga.

Ora la smetto e lo chiamo.

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Questo racconto ha vinto il primo posto al concorso indetto dalla rivista Vorrei ed è stato pubblicato il 19-12-2012.
In seguito sarà il primo racconto ad aprire la raccolta che sarà pubblicata da Vorrei nei 2013.
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